Spinning

Indimenticabile "BURANO"

Testo e foto di: Alberto Velasco

Grande appassionato di spinning e altro...

"Vi è un corso d’acqua nelle Marche in cui l’acqua score abbondante anche in piena estate…."; più o meno con queste parole cominciava, su un numero di una rivista di pesca di una decina d’anni fa, un articolo sul fiume Burano, corso d’acqua sito in provincia di Pesaro. Studentello delle superiori, ero solito compiere i miei viaggi di pesca con la fantasia, e leggendo l’articolo mi immaginavo le limpide acque, le tane fra le radici del sottoriva e soprattutto le "belle fario di taglia superiore alla media appenninica" che vi venivano descritte. burano5.jpg (20787 byte)
Col passare degli anni dimenticai il contenuto di quelle pagine, fino a non molto tempo fa, quando leggendo nel negozio dell’amico Roberto una rivista riportante le migliori zone no kill italiane, non mi capitò sotto gli occhi un articolo che parlava proprio del Burano. Scoprii così che nel frattempo sul fiume, nel tratto all’altezza degli abitati di Cantiano e Pontedazzo, era stata istituita una zona no kill di ben sette chilometri, aperta alla mosca e allo spinning; considerando che in quel periodo durante la settimana lavoravo a Ravenna, e che quest’ultima provincia si trova piuttosto vicina a quella di Pesaro, mi si presentava l’occasione di far divenire realtà quelle ormai lontane fantasie piscatorio – adolescenziali.
Aspettai pazientemente di avere un mercoledì libero – il mercoledì era l’unico giorno di apertura infrasettimanale della riserva – dopodichè telefonai al numero riportato nella rivista per prenotare l’uscita.
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Fu così che, un mercoledì di fine maggio, alle sette di mattina, ero già in viaggio lungo l’A14 in direzione Fano. Il cielo era limpido e punteggiato dai voli delle rondini, l’aria tiepida e profumata di primavera; al pensiero di andare a scoprire un posto nuovo mi sentivo come sempre pervadere da un piacevole misto di eccitazione e curiosità, come quando, ragazzino, partivo con i miei genitori per le mie prime pescate sul Trebbia. Dopo essere uscito al casello di Fano imboccai il nuovo percorso della SS 3 Via Flaminia, una comoda superstrada che dopo l’abitato di Cagli si addentrava decisamente fra le montagne, cominciando a passare proprio sopra al Burano. Ad ogni viadotto mi sforzavo di cogliere qualche fugace vista del fiume, ma l’unica cosa che riuscivo a scorgere era la fitta vegetazione delle rive.

Giunto a Pontedazzo, tranquilla località circondata da montagne affascinanti nella loro asprezza, rintracciai senza difficoltà il Bar Claudia, dove avrei ottenuto l’agognato permesso. Mentre mangiavo un panino notai appesa al muro una foto in cui un fortunato moschista teneva in braccio un’iridea di ben 64 cm, catturata, come diceva la didascalia, proprio nel Burano nell’aprile ’97. A quel punto non stavo letteralmente più nella pelle, per cui non appena sbrigate le formalità risalii in macchina e imboccai una stradina parallela al fiume, che scoprii essere nientemeno che il tracciato storico della via Flaminia; arrivato a un antico ponte romano mi fermai per vedere finalmente il Burano. Era proprio come lo avevo a lungo immaginato: un bel torrente appenninico largo 5 – 6 metri con acqua limpidissima e abbondante su un fondo di ciottoli e massi, correntini alternati a buche e vegetazione fitta sulle rive. Scesi ancora un po’ fino a quello che sembrava essere, almeno stando ai cartelli, il confine a valle della riserva, parcheggiai e mi accinsi con una certa trepidazione ad entrare in pesca. Il primo tratto che affrontai era costituito da una pianetta con un fondo di ghiaia; con un leggero rotante del 2 sondavo accuratamente gli invitanti anfratti lungo la riva opposta, ma senza vedere pinna, il che mi fece subito venire dei seri dubbi sull’esito della giornata e il timore che la lunga attesa per pescare in quel posto fosse stata vana. Poco dopo da un cespuglio sbucò fuori un moschista a cui chiesi lumi, scoprendo con comprensibile sollievo che stavo ancora pescando nel tratto libero, mentre la zona no kill cominciava un centinaio di metri a monte. 
Giunsi così ad un pittoresco fondale dove un piccolo affluente si gettava nel Burano formando una cascatella: dopo aver fotografato quell’ambiente da favola, più prosaicamente montai un Rapala F 5 cm che spedii a filo dell’opposto costone roccioso: dall’ombra sbucò come un fulmine una cospicua sagoma scura che addentò l’artificiale tornando poi indenne alla base; non avevo ancora finito di chiamare in causa una lunga sfilza di santi che si materializzò dal nulla un’altra trota che, dopo aver tallonato il Rapala per un paio di metri, si decise ad attaccare quasi sotto i miei piedi; era una bellissima fario di circa 35 cm dalla colorazione di fondo tendente al giallo come i sassi del fondo, su cui spiccavano nettamente bei puntini rossi di cui uno persino sulla pinnula adiposa; il corpo sottile, le pinne molto sviluppate e la bocca grande le conferivano un aspetto veramente selvatico. Due abbocchi al primo lancio: se quello era l’inizio…Poco a monte del fondale c’era una promettente pianetta nel cui tratto finale, più basso e veloce, si vedevano alcune bollate; montai un leggero Black Fury dell’1, la cui colorazione scura ben si adattava alle condizioni di acqua cristallina ed elevata luminosità ambientale. Nei primi tre lanci un inseguimento, una ferrata a vuoto e una farietta attorno ai 25 cm tirata a riva. Risalendo la pianetta, dove l’acqua era più fonda cambiai rotante proponendo il Black Fury del 2, che lanciavo verso monte sotto i rami della riva opposta mettendolo in immediata rotazione; quasi ad ogni lancio, incredibilmente, si vedeva qualche trota inseguire, molte abboccavano senza rimanere agganciate, complice l’amo singolo, qualcuna la portavo a riva dopo strenue difese con fughe verso le tane e ripetuti salti fuori dall’acqua. Nella piana feci ancora una decina di catture, comprese fra i 20 ed i 33 cm, tutte con identica colorazione e struttura morfologica, a confermare che non mi trovavo certo nella classica pescheria per turisti: a quel punto mi ero già ampiamente ripagato del viaggio e del costo del permesso, peraltro molto modesto.
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Il torrente, sia a livello di ambiente che di popolazione ittica, era addirittura superiore ad ogni mia più ardita fantasia: le limpide linfe erano ora impegnate a superare brevi dislivelli con rapide e correnti spumeggianti fra i massi, ora rallentate a formare idilliache pianette coperte da volte di alberi, di tanto in tanto raccolte in fiabeschi fondali incastonati fra rocce a picco; al di sopra delle fitta vegetazione d’alto fusto che circondava il torrente si vedevano, vertiginose, le aspre pareti delle montagne accese dal giallo dei ginestrini. Il senso di pace, di serenità e la gioia quasi fanciullesca che mi dava il pescare in quel luogo fantastico mi inebriavano e mi convincevano che il Paradiso Terrestre esistesse e si trovasse proprio lì.

In tutte le basse correnti al termine di piane e fondali era raccolto, complice la giornata calda e soleggiata, un gran numero di trote medio piccole con cui avevo buon gioco usando leggeri rotanti dell’1 e del 2 dalla colorazione di fondo poco brillante. Nei punti più promettenti, come i rigiri dietro ai massi o le profonde correnti nei sottoriva ricchi di radici sommerse, montavo di preferenza il minnow, un Brutto Anatroccolo del 4 galleggiante in grado di affondare rapidamente in virtù della lunga paletta e che secondo me era in grado di far muovere gli esemplari migliori; non finivo mai di stupirmi, in ogni punto dove doveva esserci una trota bella….c’era davvero, alcune le vedevo solo inseguire gli artificiali dando ripetute musate, altre mi si slamavano dopo pochi secondi, ma alla fine un paio sopra i 35 cm riuscii comunque a tirarle a riva; un’altra, sicuramente oltre i 40, agganciata con un rotante dietro un masso, mi si era slamata al secondo salto dopo aver messo a dura prova la leggera canna da 2,10.
Alle 13 il regolamento della riserva imponeva di cessare le ostilità, passare a ritirare il permesso per il pomeriggio e disporsi in paziente attesa fino alle 15, per cui risalii in macchina e tornai al bar, dove però mi aspettava una sgradita sorpresa: nel locale sembrava in svolgimento il raduno preliminare a qualche gara di pesca; dentro e fuori c’era gente munita di waders, costosi gilet da pesca e occhiali polarizzati, si sentivano i più diversi accenti, fatto questo che dimostrava la grande popolarità del luogo fra i moschisti della Romagna, della Toscana e del Lazio. In effetti, mentre la mattina non avevo incontrato nessuno, il turno del pomeriggio faceva registrare il tutto esaurito: sedici persone su sedici posti disponibili! burano3.jpg (14171 byte)
In attesa delle 15 feci un giro nel circondario scrutando dove possibile il torrente alla ricerca di potenziali prede per il pomeriggio. In questo modo trasalii vedendo, in una buchetta subito a monte di un ponte, una fario veramente spaventosa, che stimai almeno sui 2 kg: pur essendo distante una ventina di metri potevo scorgerne distintamente la punteggiatura. Purtroppo due metri più in la mi bloccai davanti ad un cartello: diceva "Zona a regime speciale – tratto A – pesca consentita con sola coda di topo"; evidentemente il ponte faceva da confine fra il tratto B, dove si poteva pescare anche a spinning, e il tratto A, riservato alla mosca, e la dannata bestia aveva scelto di sistemarsi a non più di dieci metri da detto confine, ovviamente dalla parte sbagliata. Fra le via deserte di Cantiano passava un piccolo affluente del Burano, chiuso alla pesca, dove si vedevano, nei rari punti calmi laterali alla forte corrente, alcune trote attorno ai 30 cm in agguato; quel posto era incredibile!
Alle 15 ripresi a pescare all’altezza del ponte romano, nella cui sottostante buca avevo visto pinneggiare alcuni ottimi esemplari che però si dimostrarono in grado di leggere, scrivere e fare di conto. Risalendo mi accorsi ben presto che tutti i posti in cui pescavo erano già stati battuti e, data la ristrettezza dell’ambiente, le trote erano tutte intanate; mi risolsi quindi a dedicarmi, con un certo successo, ai discreti cavedani che si vedevano girare a galla nelle buche. Nel tardo pomeriggio, dopo una leggera pioggia, miriadi di insetti di ogni tipo cominciarono a schiudere e, vuoi perché richiamate da tutto quel ben di Dio, vuoi perché non più disturbate, le trote entrarono in fortissima attività; ora in tutti i fili di corrente si vedevano salmonidi intenti a bollare, compresi esemplari da 40 cm e oltre a cui proponevo trepidante vasti campionari di artificiali che venivano regolarmente snobbati. Per fortuna quelle fra i 20 e i 30 cm non si facevano troppo pregare e mi garantivano catture a ripetizione nelle belle correnti, piane e buche che si alternavano in un ambiente che diventava via via più selvaggio e affascinante; la cosa divertente era che gli esemplari migliori, pur non degnando di uno sguardo gli artificiali, non esitavano talvolta ad inseguire fin sotto i miei piedi gli esemplari più piccoli che allamavo. Era ormai quasi buio quando giunsi al ponte che segnava il confine con la zona riservata alla mosca. Resistendo alla tentazione di sconfinare per insidiare il salmonide formato famiglia che avevo visto all’ora di pranzo, mi risolsi a tentare con un rotante del 2 in una bella corrente ricca di tane fra radici e rami sommersi sotto la sponda opposta. Pochi lanci e agganciai qualcosa di molto grosso…col cuore in gola cominciai a recuperare quella che doveva di gran lunga essere la trota più bella della giornata, temendo per il sottile 0,16 che avevo sul mulinello. Dopo poco nell’incerta luce mi trovai a fissare negli occhi un cavedano di almeno 45 cm che attendeva pazientemente di essere rilasciato.
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Ormai era purtroppo tempo di tornare alla lontanissima macchina. Mentre camminavo sul selciato della via Flaminia, un vento impetuoso sorto dal nulla cominciò a spazzare la gola del Burano; tale era la suggestione di quel luogo, che non mi avrebbe stupito più di tanto vedere qualche coorte romana venirmi incontro. Ad ogni passo che mi allontanava dal torrente cresceva in me la consapevolezza che quella appena trascorsa era stata una delle giornate di pesca più belle ed esaltanti della mia vita. Posti come il Burano hanno un solo difetto: che prima o poi bisogna tornare alla realtà.

 

 

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