L’ULTIMO PARADISO? Anno 2006

di Alberto Velasco

In Italia esistono ancora zone i cui corsi d’acqua mantengono le proprie caratteristiche originarie, senza essere pesantemente alterati dalla mano dell’uomo; corsi d’acqua per descrivere la cui popolazione ittica non è necessario coniugare i verbi al passato, come purtroppo avviene da molte altre parti (e noi lo sappiamo bene). Da un paio d’anni ho cominciato a frequentare assiduamente, con enorme soddisfazione, uno di questi ultimi paradisi, vale a dire la fascia pedemontana delle province più settentrionali delle Marche, quelle di Pesaro, Ancona e Macerata. Qui, nel raggio di qualche decina di chilometri, è concentrata una quantità stupefacente (se consideriamo che siamo nell’Italia centrale) di fiumi e torrenti ancora integri, selvaggi, in buona parte poco battuti e soprattutto pescosissimi. Si tratta di  ambienti spesso ristretti ed infrascati, poco adatti all’esigente moschista avvezzo a presentare le proprie imitazioni solo a temoli e marmorate domiciliati in acque potabili; tuttavia, le fario di fiumi come l’Esino, il Potenza e il Burano, tanto per fare qualche nome, non hanno nulla da invidiare, sia per quantità che per taglia, a quelle di ben più rinomati corsi del Nord Italia. Inoltre, anche i più insignificanti torrentelli ospitano enormi quantità di ciprinidi, soprattutto, per quel che riguarda noi spinningofili, cavedani che sembrano non aver mai visto un minnow in vita propria. In aggiunta al già interessante quadro, sono presenti numerose zone a regime speciale gestite in modo assai intelligente, ricche di splendide trote e in cui è possibile fare catture veramente memorabili.

I FIUMI

Relativamente all’aspetto logistico, sono solito fare base in albergo ad Acqualagna, centro dell’alto pesarese, famoso per i tartufi, distante circa 40 chilometri dalla costa, facilmente raggiungibile uscendo al casello di Fano, proseguendo lungo la statale Flaminia verso Roma. Da Piacenza sono poco più di 300 chilometri per circa tre ore di viaggio, decisamente ben spese.
Provenendo da Fano, il primo fiume che si incontra è il Metauro, principale corso della provincia di Pesaro. Per andare sul sicuro conviene concentrarci su una delle quattro zone no-kill presenti in acque “B” (ciprinidi). Finora ho pescato nelle due più a valle, all’altezza di Fossombrone e Fermignano, entrambe ospitanti fitti branchi di cavedani grossi ed aggressivi; a Fermignano ho addirittura fatto abbondanti catture in marzo, pescando a galla con l’ABU durante una nevicata. Gli altri no-kill sono all’altezza di Urbania e Sant’Angelo in Vado. Attenzione perché tutte queste zone sono chiuse in maggio per tutelare la frega dei ciprinidi. Se poi vogliamo dedicarci alle trote, mi hanno detto che il Meta e l’Auro, i due torrenti che unendosi originano il fiume, sono ben popolati dai nostri amati salmonidi.
Poco a monte di Fossombrone confluisce nel Metauro il Candigliano, bellissimo fiume incorniciato da spettacoli naturali grandiosi e caratterizzato da una popolazione ittica decisamente rilevante. Fra il ponticello di Furlo, minuscolo centro all’ingresso dell’omonima gola, risalendo fino ad Acqualagna, laddove riceve le limpide e abbondanti acque del Burano, il fiume ospita quantità notevoli di cavedani, anche da 50 centimetri , insidiando i quali mi è capitato di prendere qualche bella trota, la cui presenza è sovente segnalata da rumorose cacciate. Pochi chilometri più a monte, proseguendo da Acqualagna verso Apecchio, il fiume attraversa la gola di Gorgo a Cerbara, offrendo fino a Piobbico panorami mozzafiato, notevoli quantità di cavedani e pure discrete trote. Per la cronaca, a Piobbico c’è la confluenza del Biscubio, affluente paurosamente infrascato in cui ho  pescato solo per un’oretta, prendendo però una fario da 44 centimetri . Questo torrente, alcuni chilometri a monte di Piobbico, ospita una “zona regolamentata” (interessante tipo di zona a regime speciale dove si può pescare solo in tre giorni della  settimana, fino alle 12, con la possibilità di trattenere un numero limitato di salmonidi), che ho intenzione di provare in futuro.   
Come dicevo prima, ad Acqualagna il Candigliano riceve il Burano, fiume dove, ormai dal 1998, ho lasciato stabilmente un pezzo del mio cuore. Andando con ordine fra le molteplici possibilità di pesca offerte da questo paradiso, nel lungo e selvaggio tratto che va dalla foce fino a Cagli, dove confluisce il Bosso, le sue piane di acqua fresca e limpidissima ospitano cavedani in quantità come non mi è mai capitato di vedere altrove, oltre ad un buon numero di trote. Queste ultime possono raggiungere dimensioni ragguardevoli: la prima volta che ho pescato qui, mentre tiravo a cavedani in un fondale, ho agganciato una fario superiore al mezzo metro, che purtroppo mi si è slamata sotto i piedi; un moschista che aveva assistito alla scena mi ha detto di consolarmi, perché quella non era granchè in confronto ai “sommergibili” che popolano la zona! Una “zona regolamentata” (per quest’ultima ci vuole però il permesso) è all’altezza dell’abitato di Cantiano. E adesso veniamo al tratto che da solo vale la pena di un viaggio fino qua: poco a monte di Cagli, a partire da una cava di pietra e fino all’abitato di Cantiano, il Burano ospita una meravigliosa zona no-kill di 7 chilometri , gestita dalla provincia di Pesaro; qui, in un ambiente assolutamente ideale per la pesca alla trota, fra vegetazione lussureggiante, vertiginose pareti di roccia e testimonianze Romane, sono presenti bellissimi salmonidi, anche da due chili; la taglia media delle catture è attorno ai 30 centimetri , pur trattandosi di pesci smaliziati e tutt’altro che facili da prendere. Questa zona, come del resto altre di cui parleremo in seguito, è soggetta ad un regolamento piuttosto particolare che descriverò alla fine.
Dicevo prima del Bosso: su questo torrente, all’altezza di Secchiano, a non più di dieci minuti dal no-kill del Burano, troveremo un altro tratto con identica regolamentazione; la taglia media è minore, ma anche qui in tutti i punti promettenti saltano fuori trote da 35- 40 cm , e non mancano esemplari incredibili: tre anni fa, alla mia prima pescata in loco, ho agganciato e perso una fario da almeno 50, e un’altra ancora più grossa l’ho vista l’anno dopo inseguire il minnow fin sotto i miei piedi. Basta poi guardare le foto appese al bar dove rilasciano i permessi, per rendersi conto della popolazione salmonicola di questo torrente. A valle di questo tratto esiste una “zona regolamentata”, anche questa con necessità di permesso, dove però non ho mai pescato. Come se non bastasse, il tratto basso, che con Davide abbiamo scoperto casualmente girando per Cagli alla ricerca di un accesso al Burano, a partire dalla foce in quest’ultimo corso ospita quantità incredibili di cavedani.
Finora abbiamo parlato di itinerari siti al massimo ad un quarto d’ora da Acqualagna, centro dove, come dicevo prima, sono solito fermarmi in albergo. Ci sarebbe ampiamente da accontentarsi, ma, aumentando un po’ il nostro raggio d’azione, potremo raggiungere parecchi altri posti interessantissimi.
Da Cantiano, girando verso sinistra per Chiaserna, arriveremo in capo a dieci minuti sulla parte alta del Sentino, splendido torrente nella cui valle si trovano le ben note grotte di Frasassi. In questo tratto, assimilabile ad uno dei nostri maggiori “canali” di montagna, il Sentino ospita tantissime trote, con esemplari sopra i 30 centimetri che si possono facilmente scorgere dalla strada o dai rari ponticelli, come ad esempio quello di Isola Fossara, primo centro che si incontra andando verso valle. Proseguendo verso il basso, e nel frattempo saremo passati in provincia di Ancona, dopo una ventina di chilometri si arriva a Genga, nel cuore del maestoso parco delle gole di Frasassi e della Rossa; il tratto di torrente che scorre nella zona protetta, fino alla confluenza nell’Esino, è interessato da un divieto di pesca, ma risalendo dal confine a monte del parco, all’altezza dell’abitato di Colleponi e fino a Sassoferrato ho trovato, tanto per cambiare, impressionanti quantità di cavedani e pure belle trote (pare ne siano presenti anche da chilo).
Superate le gole di Frasassi si arriva laddove il Sentino si getta nell’Esino, fiume straordinario che coniuga una eccezionale pescosità ad un ambiente particolarmente suggestivo. Se dalla confluenza si prosegue per il fondovalle, quindi verso Ancona, si raggiunge in cinque minuti l’uscita di Serra San Quirico; qui si trova una zona no-kill dove, risalendo, si possono facilmente scorgere fario di 40- 50 centimetri intente a bollare, oltre ad enormi cavedani; il pesce è però veramente difficile e in grado di mettere a dura prova il sistema nervoso. Scendendo ancora verso valle l’Esino ospita ovunque tantissimi cavedani di grossa taglia e dalla forza impressionante, in grado di aprire gli ami come fossero di burro, oltre a belle trote provenienti da monte. Nel lungo tratto che va da Maiolati Spontini fino a Jesi, è arduo consigliare una zona migliore; vale solo la pena di segnalare che dal ponte di Jesi (uscita Jesi centro) a risalire fino a Ponte Pio, in acque “B”, c’è una lunghissima zona no-kill, e che nel tratto di Moie la quantità e la taglia media dei cavedani sono particolarmente elevate. Ma l’Esino è veramente un fiume completo: infatti, dalla confluenza del Sentino verso monte, cioè in direzione di Fabriano, costituisce anche un ottimo itinerario da trote. Personalmente ho provato soltanto in un breve tratto in prossimità delle sorgenti, fra gli antichi centri di Matelica ed Esanatoglia (siamo adesso in provincia di Macerata); con Davide ci siamo finiti per caso, un giorno in cui il resto del fiume era in piena. Per dare un’idea, immaginate un torrentello di poco più di un metro di larghezza media, selvaggio e infrascatissimo, dove ci si aspetterebbe solo qualche rara e smunta trotella, e invece si finisce col non credere ai propri occhi, perché in ogni buca ci sono quantità impressionanti di fario, compresi esemplari da 35 centimetri e oltre.
Vale ancora la pena di citare il Giano, piccolo affluente dell’Esino che ho scovato, come al solito per caso, all’altezza di Fabriano (N.B. Fabriano è la città della carta, quindi delle cartiere); a valle del centro abitato è un ottimo posto da cavedani, mentre a monte, ancora in mezzo ai condomìni, abbondano le trote, anche se non di grossa taglia.
Nel caso non fossimo ancora soddisfatti, e da Matelica decidessimo di proseguire per pochi minuti verso sud, giungeremmo a Castelraimondo, in riva ad uno dei migliori fiumi da trote di tutto l’Appennino: il Potenza. Qui ogni anno vengono catturati mostri da 3-4-5 chili; in effetti basta affacciarsi per un attimo da qualsiasi ponte per rendersi conto che questo è “il” posto da trota grossa. Il tratto medio, quello che va grosso modo da Castelraimondo, a valle fino a San Severino Marche, è quello dove sono maggiori le possibilità di incontro con i “salmosauri”, e pure quello in cui, guarda caso, la pesca è più impegnativa. Salendo, poco a valle di Pioraco, grazioso centro che purtroppo porta ancora i segni del terremoto del ’97, c’è una gola molto bella ma piuttosto impervia, dove vale comunque la pena di provare, considerato che qui ho attaccato, fra le altre, due fario attorno ai 45 centimetri . Sempre nella gola, all’altezza del paese, c’è un tratto vietato alla pesca, dove consiglio comunque di fare un giro; infatti, qui è stato realizzato un incredibile camminamento (“sentiero Vurgacci”), con passerelle di legno e gradini intagliati nella roccia, che permette di ammirare buche che sembrano ognuna la vasca di un acquario, popolate da esemplari impressionanti che ci causeranno la caduta in acqua dei bulbi oculari. Poche centinaia di metri a monte il fiume, inaspettatamente, assume l’aspetto di un idilliaco chalk stream scorrente in mezzo ai prati; qui i salmonidi sono in quantità veramente spaventosa e nel giro di un paio d’ore si possono fare decine e decine di catture, anche se di taglia generalmente modesta. Ma tutta la valle del Potenza, fino alle sorgenti, affluenti compresi (fra questi molto bello lo Scarsito, all’altezza di Pioraco), è ricchissima di acqua e di belle trote, nonostante l’elevata pressione piscatoria.
Tornando ad Acqualagna, per trovare un altro interessante itinerario dovremo stavolta proseguire verso Nord, arrivando sul Marecchia. Il tratto alto del fiume romagnolo scorre in realtà in provincia di Pesaro, e proprio qui, a Molino di Bascio, c’è una zona no-kill gestita nello stesso, intelligente modo di quelle del Burano e del Bosso. Arrivare richiede un’ora abbondante di strada di montagna, ma ne vale la pena. Questo fiume ha caratteristiche decisamente diverse rispetto agli altri corsi visti finora: nel no-kill ricorda molto, come ambiente ma naturalmente non come presenza di trote, il Nure a valle di Farini, all’altezza della bandita.
In aggiunta a tutto questo ben di Dio, Acqualagna costituisce un ottimo punto di appoggio per raggiungere, in poco più di un’ora, la materializzazione dei sogni di qualunque pescatore ad artificiali che si rispetti: la zona no-kill del Nera a Borgo Cerreto. Un Eden con oltre dieci chilometri di acque purissime, dalla portata e temperatura costanti tutto l’anno, ospitante una popolazione salmonicola senza paragoni, in grado di autosostenersi senza il ricorso alle semine. Qualunque cosa possa scrivere, non sarà mai abbastanza per dare l’idea di cosa sia questo posto. Per strada, inoltre, potremo incrociare altri interessanti corsi umbri: il Chiascio, in cui non ho mai pescato ma di cui ricordo bene i cavedani che si vedevano da un ponte in quel di Branca, il Clitunno, una bella risorgiva ricca di trote e cavedani, questi ultimi ottimamente presenti, con esemplari iperpalestrati,  anche sul Topino da Foligno a risalire.
Per concludere, è doveroso dire che quelli citati sono solo una minima parte degli itinerari offerti da questa terra indimenticabile. Oltre a lunghi tratti di ognuno dei corsi finora citati, mi rimangono da scoprire molti altri fiumi e torrenti di cui sono venuto a conoscenza leggendo, parlando con pescatori incontrati sui fiumi o al bar, navigando su Internet, o semplicemente incrociandoli durante le mie peregrinazioni piscatorie: qui si possono ancora fare due lanci in qualunque ruscello incontrato casualmente, per quanto insignificante sia, ed avere forti possibilità di imbattersi in qualche bella sorpresa.
NOTIZIE UTILI
Prima di tutto va detto che nelle acque di categoria “A” (salmonidi) delle Marche occorre un tesserino, gratuito, che si può facilmente ottenere in uno dei bar più avanti citati, e che si può usare una sola ancoretta (quindi ai minnow va tolta quella di pancia).
Nelle tre zone no-kill di Burano, Bosso e Marecchia si può pescare solo con esche artificiali, con amo singolo senza ardiglione, e solo nei giorni di mercoledì (fortemente raccomandato, specie sul Burano, che è letteralmente assalito anche da moschisti romagnoli, toscani, laziali, umbri), sabato e domenica. La pesca è divisa in due turni, dalla mattina fino alle 13 e dalle 15 fino a sera, e ad ogni turno possono accedere al fiume massimo 16 pescatori, muniti di un permesso giornaliero che si ritira presso i bar sotto segnalati, previa pagamento di circa 5 €. Per il Burano bisogna andare al bar Claudia di Pontedazzo (dove si possono fare anche i permessi per la zona regolamentata di Cantiano), appena prima del distributore, tel. 0721-78.89.29; per il Bosso c’è il bar Angeli di Molino di Secchiano (dove si fanno anche i permessi per la zona regolamentata sottostante), tel. 0721-78.19.95; per il Marecchia bisogna invece andare al bar Cardini di Molino di Bascio, a destra lungo la strada principale, tel. 0541-91.58.26. Prima di andare in uno di questi tratti, soprattutto sul Burano, conviene prenotarsi per telefono, cosa che si può fare solo a partire dal lunedì della settimana in cui si intende fare l’uscita.
Anche per pescare nelle acque a salmonidi della provincia di Perugia è necessario un apposito tesserino, stavolta oneroso, che si può ottenere presso il punto di Legambiente a Borgo Cerreto (lo stesso dove si fanno i permessi per il Nera), previa versamento di € 5,16 sul conto n° 14265060 intestato a “Amministrazione Provinciale di Perugia tesoreria Monte dei Paschi di Siena servizio proventi vari” con la causale “tesserino regionale di pesca anno 2004” . Per il no-kill del Nera il tesserino non serve, ma bisogna munirsi di un permesso giornaliero, reperibile come dicevo prima nel punto di Legambiente a Borgo Cerreto (è una piccola costruzione dalla forma bizzarra, visibilissima in mezzo al paese da parte alla statale), del costo di 15 € (ma pescare qui vale una spesa almeno doppia). L’uscita va prenotata almeno 10 giorni prima, specie se è per il fine settimana (n° tel. 0743/91221, dalle 8 alle 11,30 e dalle 15 alle 17), in quanto c’è un limite giornaliero al numero di presenze; la riserva è infatti divisa in tre tratti: “A monte”, numero massimo di 8 pescatori al giorno, “B” (l’unico dove si può pescare anche a spinning) e “A valle”, fra tutti e due un massimo di 12 persone.
 
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